2011 | Paolo Biscottini | Milano, Museo Diocesano

(dal catalogo per la mostra)

BETFAGE

Bètfage non è un inizio, ma il luogo in cui la mente sosta per una chiarezza improvvisa e necessaria. L’asino è la forma, la visibilità concreta che consente di uscire dal magma indistinto del vagabondaggio umano. Cominciamo da lì. Forse non è subito chiaro a Paola Marzoli che poi tutto sarà diverso ed estremamente difficile, ma le è chiaro che lì, a Bètfage, l’occhio, la mente e il cuore hanno un improvviso e simultaneo sussulto. Un asino, come aveva detto (Marco, 11):
Quando si avvicinarono a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio che vi sta di fronte, e subito entrando in esso troverete un asinello legato, sul quale nessuno è mai salito. Scioglietelo e conducetelo. E se qualcuno vi dirà: Perché fate questo?, rispondete: Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito». Andarono e trovarono un asinello legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo sciolsero. E alcuni dei presenti però dissero loro: «Che cosa fate, sciogliendo questo asinello?». Ed essi risposero come aveva detto loro il Signore. E li lasciarono fare. Essi condussero l’asinello da Gesù, e vi gettarono sopra i loro mantelli, ed egli vi montò sopra. E molti stendevano i propri mantelli sulla strada e altri delle fronde, che avevano tagliate dai campi. Quelli poi che andavano innanzi, e quelli che venivano dietro gridavano: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!

Anche ai discepoli non doveva essere chiaro cosa sarebbe successo, ma già avvertivano nell’Osanna della gente come il compimento di una promessa, quel sussulto di occhio mente e cuore. Dipingere non è vagabondare o il desiderio impreciso di essere. Non cominci a caso, ma solo quando vedi o intuisci una verità da cui iniziare.

Forma o altro che sia, da lì l’artista avverte la necessarietà dell’opera che sta per iniziare, senza pretese, ma anzi con incertezza, timore, ansia. E nel contempo con speranza. Desiderio e in esso il suo stesso compimento. Maranatha: vieni Signore. Oppure Maràn athà: il Signore è venuto. L’invocazione aramaica contiene il mistero del desiderio cristiano e l’oscillazione fra una domanda e una certezza. La santità probabilmente è in quest’oscillazione. In questo buio che si illumina e che trattiene insieme la paura dell’uomo e la sua fede. Dipingere un asino, oppure poi gli ulivi che tentano il cielo terso di blu, non è conquista di verità evangeliche, né narrazione e disvelamento del mistero. Bensì desiderio di sostare qui, davanti a un frammento dell’umano esistere che è nel contempo testimone e promessa che quella cosa, quella luce, quel blu saranno e già sono brandelli dell’Eterno. Guai se il pittore credesse di aver a che fare con una verità dalla lettera maiuscola. Un asino è un asino e Bètfage è un villaggio, anzi nemmeno, un luogo verso Gerusalemme. Passi di lì e nemmeno ricordi Marco 11. Però quell’asino è lì e a lui affidi la tua domanda carica di paura e di speranza. Paola Marzoli è pittrice della realtà (più esattamente del concreto), del visibile, almeno di quella visibilità che è concessa all’uomo. Ad ogni uomo, ieri,oggi e poi ancora. E l’eternità non è un luogo in cui andare, bensì quella profondità del blu del cielo in cui avverti (ed è come un trasalimento) il tutto di te. Pittura come sosta per contemplare e insieme ascoltare i pianti e le risa della vita. Una sosta dell’anima, che cerca il suo luogo e ancora non sa nulla del suo domani. Paola Marzoli dipinge ogni foglia come fosse l’ultima o la prima. E così vive i suoi giorni l’uomo mite. Dipingere non è cosa rabbiosa, ma silenzioso esistere in una stanza, dove la luce ti offre consigli e lo spazio la misura.

La superficie della tela dà vita ad uno spazio interiore, dove accadono segni sospesi tra una pienezza e l’altra, le foglie, il cielo, e poi l’ansia di non riuscire, di non farcela, di non essere all’altezza. Così vive l’uomo. Spazio interiore è spazio dell’anima in cui non c’è quiete, se non in quella speranza che debolmente chiamiamo fede. Come è fragile l’uomo e come è strano il contrasto fra il nulla che avverte ogni giorno, talora con dolore e timore, e quella pienezza che scalda il suo cuore. Questo, solo questo è amore. Anche se puzza di vernice e ha la forma delle foglie di un ulivo o delle zolle di terra, questo affidarsi fedelmente ad una pienezza che scalda il cuore, è amore, desiderio che diventa certezza: maranatha.

Ma anche l’amore ha i suoi smarrimenti. Così vive l’uomo. E la pittura li conosce, per poi ritrovarsi nel contatto con le cose (pittura della realtà). Come una scossa elettrica che ridona senso al tutto e ristabilisce l’ordine del mondo, il suo codice. Questi dipinti sono allora metafore di una vita : cose viste, amate, sognate e poi tensioni, silenzi, paure. Tutto si mescola nell’uomo e diventa invocazione, oppure meraviglia, stupore improvviso, luce limpida e trasparente , rami tesi nel cielo come braccia levate. Territorio dei poeti è la pittura di Paola Marzoli, anelito e spasmo verso uno spazio ultraterreno e pure qui, in terra, mentre lo tocco e lo desidero. La sfida più grande è tutta nell’essere qui e insieme altrove. Paola Marzoli in questa sfida gioca non solo la sua attualità, ma tutta la nostra contemporaneità e ne disvela l’utopia. Qui e altrove. Ma come è possibile dire, dipingere così, oggi? Nell’epoca del tutto ora e subito, come appare scandalosa questa pretesa di eternità, questo cercare l’alto, al di fuori di ogni interesse materiale e alla sola conquista di un bene spirituale. O così o nulla. Perciò i suoi dipinti sfuggono la linea dell’orizzonte, perché nella sua visione del terreno troppo forte è il senso dell’ultraterreno e dunque di un orizzonte che non c’è, se non come dato interiore, per nulla visibile. È questa la bellezza a cui aspira l’arte? Ed essa potrà salvare il mondo? Ed è religioso questo dipingere il cielo e insieme le zolle, partendo da un asinello di Bètfage, all’inizio di un viaggio in Terra Santa? Possiamo dunque tornare a parlare di arte sacra?

Non potrei e non vorrei farlo. Sacro è il mistero di un Dio che si fa uomo e muore e risorge per la salvezza di tutti. Sacro non è ciò che l’uomo chiama così. Sacra è l’iniziativa di Dio ed essa soltanto. Ma noi possiamo riconosce il mistero che circonda l’uomo, il suo desiderio ed affidare ad esso le nostre domande, senza pretesa di offrire risposte. Così guardiamo il cielo azzurro e poi chiarissimo che irrompe fra le foglie e interviene nella nostra vita come un suono nuovo e inatteso. Così guardiamo un asino a Bètfage e pensiamo a una storia che ha cambiato il mondo e di lì iniziamo a progettare il nostro oggi. Siamo dinanzi ai dipinti di Paola Marzoli e ritroviamo il senso dell’immagine, che ci invita ad essere ripercorsa. Dal basso all’alto, da destra a sinistra e poi ancora, in silenzio. Come nella nostra vita. Perché così viviamo, per questo andare cercando una direzione, qualcosa e qualcuno a cui affidarci. Con amore e speranza. Maranatha.