2001 | Mario Perazzi | Milano, Galleria Schubert

(dal catalogo per la mostra)

Perazzi: Tu hai cominciato facendo quadri vagamente dechirichiani, poi hai proseguito raffreddando sempre più l’immagine fino a tornare, secondo me, adesso a scaldarla. C’è una logica in tutto questo oppure è accaduto, diciamo così, per caso?
Marzoli: Tu sai che io numero i quadri... Non per catalogarli, ma con la speranza che un giorno, miracolosamente, da questa sequenza temporale di immagini salti fuori una storia. Più che all’opera finita tengo alla storia, alle storie, ai percorsi...
Nei miei primi lavori, quando cercavo le immagini nella pittura già dipinta, De Chirico e i surrealisti mi aprivano la strada. In loro ritrovavo il mio bisogno di rompere la compattezza della cosiddetta realtà senza compiere gesti maleducati: immagini composte, ordinate nel codice, e nello stesso tempo spostate dal loro contesto, scollate dai loro nomi...
Perazzi: ... Ceci n’est pas une pipe...
Marzoli: Che era un modo di muovere la visione virando di poco l’immagine...
P. Tu continui a usare la parola immagine, però non ti riferisci a una immagine realistica, tanto è vero che le mostre che ultimamente ti hanno emozionato sono per lo più non figurative. Cioè per te l’immagine non è immagine figurativa anche se apparentemente tu fai una pittura figurativa.
Marzoli: Mi sembra che nell’immagine ci sia una gamma vastissima di possibilità. Basta allontanarsi o avvicinarsi all’oggetto rappresentato perché tutto cambi. Da lontano la terra è una sfera, da vicino humus brulicante. Piero della Francesca vedeva da lontano attraverso un’astrazione geometrica idealizzante, Caravaggio ravvicinava, Pollock ci affonda dentro. Velasquez sembrava realista e poi sfaldava tutto nella pennellata.
Io ho sempre dipinto immagini psichiche, rappresentazioni di stati d’animo, a volte idealizzate in una struttura geometrica o in un racconto metaforico. Nel tempo ho cercato di ravvicinare, di scaldare, come dici tu, di entrare più dentro la pittura...
Perazzi: Però tu ci sei sempre dentro nella tua pittura... I tuoi, diciamo ‘penultimi’, quadri presi da foto della tua infanzia, sono totalmente autobiografici...
Marzoli: Certo... E ora sto lavorando al passaggio da una introspezione fatta nella scelta dei soggetti ad una introspezione cercata anche nella materia della pittura... Ma è come se dovessi procedere con cautela...
Perazzi: Secondo te, perché?
Marzoli: C’è il rischio di mollare l’appoggio prospettico che offre la siepe leopardiana e naufragare nell’infinito. D’altronde l’infinito Leopardiano non si dava senza siepe, come la sua poesia senza la sua esercitata capacità di dare forma. Le regole del discorso, i codici disciplinari, pur storicamente variabili, mi appassionano: li sento come uno dei termini del dramma. E poi mi sembra che il rischio vero, oggi, non sia il naufragio nell’infinito ma piuttosto il collasso nell’indefinito.
Certo, la prima pittura che ho fatto era molto tenuta. All’inizio contenuta nella strada già tracciata e molto educata del surrealismo e poi nelle pagine dei tanti libri bianchi che ho dipinto e nei muri rigidi delle stanze grigie. Libri bianchi bucati o ricamati a punto in croce da un ago infilato di rosso, stanze grigie, una accostata all’altra, sospese nel vuoto, festonate da un filo rosso.
Perazzi: ... Il filo rosso... E l’ago che bucava le pagine del libri... Il conflitto era ben rappresentato...
Marzoli: Sì, ma io allora ho tentato di uscirne. Ho tentato di uscire da quelle stanze, e ho fatto dei racconti di natura: delle specie di tempeste giorgionesche, con anche il fuoco... Fino ad arrivare ad una discesa alle madri, fatta accostando immagini del mito classico all’ordine significativo delle macchie e delle strisce sulla pelle degli animali... Per tornare oggi a recuperare il codice ‘rotto’ delle colonne...
Perazzi: Tu , apparentemente, sembri citare, ma in realtà non citi...
Marzoli: Penso di no. Ho usato gli antichi più che citarli. Ho lavorato molto sulla pittura classica, ho rifatto quadri di Piero della Francesca, ma anche quando rifaccio un quadro non lo copio, ma lo scompongo, lo decostruisco e lo ricostruisco...
Perazzi: Che è una sorta di operazione concettuale... In un certo senso assimilabile al lavoro di Paolini sul giovane che guarda Lorenzo Lotto. Però la realizzi con dei media diversi...
Marzoli: Sì. Di Piero della Francesca ho cercato i cerchi e i quadrati e i punti di vista centrali. Ho spiato il suo modo di governare lo spazio.
Perazzi: Di fatto la tua pittura attuale è più vicina a un quadro antico che a un quadro moderno, diciamo, non figurativo: la partizione dello spazio è classica. Ma hai mai provato a tentare una maggiore astrazione?
Marzoli: ... Collocare l’immagine nello spazio tridimensionale rinascimentale mi da la base per esplorare qualcosa oltre quello spazio. C’è chi, nella pittura moderna, ha mirato all’espressione dell’emozione pura... Ma io ho bisogno di lavorare a lungo su un quadro: non posso fare un quadro troppo in fretta. La costruzione dell’immagine mi aiuta a raccogliere e dosare l’emozione..
Perazzi: Decantare...
Marzoli: Sì, decantare.... Negli ultimi quadri che ho fatto è come se avessi tentato di fermare l’emozione imprigionandola, come i Greci facevano con gli dei, dentro i colonnati dei templi. Le colonne sono un’immagine simbolica e reale insieme. La pietra con cui sono fatte è pesante e porosa. Le impalcature sono come le linee di una quadrettatura geometrica. Appoggiata a simbolo e a geometria posso permettermi anche di perdere le coordinate spaziali cartesiane, avvicinarmi sempre di più alla materia delle colonne, e ai neri e agli azzurri ritagliati tra le colonne. Zumare sulle basi delle colonne come faceva Gnoli sui colletti delle camicie.
Perazzi: Hai citato Gnoli, non a caso. Chi c’è fra i contemporanei a cui ti si potrebbe avvicinare?
Marzoli: Non saprei... Uso in modo vorace le scoperte degli altri, poi rumino o elimino... A volte colgo cose che possono aiutarmi a distinguere la mia strada... Recentemente ho visto una mostra di Elisabeth Scerffig... Grandi disegni di scavo nell’intrico di pietre, ferri, legni, tubi e cavi del sottosuolo urbano, rappresentati nella loro consistenza materiale specifica e insieme ricondotti ad unità di tessuto in un segno simile ad una scrittura, sempre uguale a se stesso. Ecco, lei, senza rompere il codice del discorso figurativo, lo evoca e lo dissolve nella continuità del segno...
Perazzi: Una specie di filologia dell’immagine...
Marzoli: Un modo per tenere insieme le immagini che nasce dall’avvicinamento alla struttura interna della materia: non c’è più bisogno allora di negare la prospettiva che diventa, come una forma antica di visione, parte della realtà rappresentata.
P. Se vuoi è un approfondimento estremo di quello che avevano già cercato di fare Signac e Seurat col puntinismo, o anche Pelizza da Volpedo e Segantini. Loro più che l’oggetto cercavano la luce... Dissolvevano la materia nella luce... Se leggi i loro scritti capisci...
Marzoli: Pensavo che forse, rispetto ad Elisabeth, io cerco qualcosa di più conflittuale....
Perazzi: Comunque si pone sempre il problema della pittura: a te esperimenti di tipo extrapittorico non hanno mai interessato...
Marzoli: Mi possono interessare ma mi sembrano spesso sbilanciati, o troppa idea o troppa materia. A me interessa la complessità della pittura: colore, segno, immagine, carta, legno, muro. Un rapporto antico, tra la mente, gli occhi, le mani e la materia.
Perazzi: Domanda banale ma inevitabile: che influenze hanno le letture sul tuo modo di lavorare?
Marzoli: Non saprei... Sono appassionata di grecità e soprattutto le strutture del mito mi attraggono. Possono essere anche solo parole ... ‘Escatià’, per esempio... La parola ‘escatiá’ insieme a quello che rappresenta (i luoghi marginali, oltre il seminato o estremi, percorsi da Artemide) subito mi anima... Come dire che mi interessa il discorso, il codice e quello che il codice non può contenere... Analogamente, nella letteratura moderna e attuale, quello che mi interessa è la trama animata della scrittura... Il tessuto delle parole... I tentativi di definire spazi psichici nuovi in antiche parole e la necessità di trovarne di nuove e nuovi ritmi senza perdere la struttura del discorso.
Perazzi: Tu hai usato il termine parola... Il suono della parola, il significato della parola in senso lacaniano, la parola come logo totale, come legge, come leggenda, con tutti i suoi etimi. Che cosa è per te la parola?
Marzoli:. Le parole mi emozionano, i nomi dati alle cose...
Perazzi: ... E ai luoghi... Che sono quasi sempre significativi ... I toponimi...
Marzoli: Appena sento una parola penso alla storia di quella parola, dove è nata, come si è trasformata... Trasformazioni significative e casuali...
Perazzi: ... Casuali non direi... I romani dicevano ‘nomina sunt consequentia rerum’...
Marzoli: ... Cose che hanno imposto i loro nomi e nomi che hanno imprigionato le cose... E le cose, dal di dentro, a modificare le parole e così via... La lotta tra le parole e le cose... La parola come strumento drammatico dell’uomo. Lo stesso dramma che si incontra nella pittura quando si vuol mantenere un codice. Come tener su colonne che pur sono già crollate...
Recentemente e con grande godimento sono arrivata a scrivere parole sui quadri... Ma questa è un’altra cosa rispetto al logo... E’ se mai la scrittura che ridiventa segno pittorico e materia in immagini più dense...
Perazzi: Più dense e anche figurativamente più agguerrite... Quello che c’è di bello nella tua pittura è che sei migliorata...
Se uno usa a proposito dei tuoi quadri aggettivi tipo gradevole, bello, ti da noia?
Marzoli: Sì che mi da noia. Intanto perché se sono affezionata alla storia, al discorso e al senso, non mi importa niente del bello. Anzi lo temo. Sai perché? Perché è una tentazione di stasi. Dopo aver fatto i quadri grigi delle stanze, che erano brutti, ostici, rigidi, mancanti di materia, ma che avevano una loro verità almeno psichica (è una verità anche l’espressione di una mancanza...), mi sono poi un po’ persa dietro immagini che, per cercare di essere più piene, finivano per essere più graziose... allora vorrei guardarmi da questo rischio, che è un rischio di perbenismo... Che è la mia storia ...
Perazzi: ... La nostra storia...Basta vedere come siamo vestiti...